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“Nella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1590, giorno di Sant’Antonio Abate, mani ignote deposero sul torno cioè sulla grande ruota in legno che si trovava all’ingresso della Casa di Carità  di San Michele fuori le mura, a Novara, un neonato di sesso femminile, scuro d’occhi, di pelle e di capelli: per i gusti dell’epoca quasi un mostro” Così ha inizio la storia di Antonia, raccontata da Sebastiano Vassalli in uno dei più importanti romanzi dell’ultimo decennio, edito da Einaudi vincitore nel 1990 dello Strega e finalista del Campiello. Da qui un monologo avvincente sulla tragica vita della sua protagonista, la strega di Zardino, “villaggio fantasma” sulle rive del fiume Sesia, cancellato forse da un’alluvione, dalla peste, da una battaglia, da un incendio o chissà… Dal mistero e dalla nebbia dell’oblio e dal nulla riemerge così la vicenda della strega, che subì a Novara un processo e una condanna, “correndo l’anno del Signore 1610″, e del vescovo Bascapa, del boia Bernardo Sasso, dei bambini abbandonati e umiliati nelle case di carità , dei risaroli schiavi e dei camminanti ribelli, sullo sfondo di un paesaggio storico dominato e oppresso dalla Controriforma e dall’Inquisizione e di un paesaggio naturale dove si staglia il Monte Rosa, presenza immane di granito e ghiaccio. Un “macigno bianco” per Dino Campana, che lo vide una mattina di settembre da dietro le sbarre di un carcere novarese: ” un’immagine inafferrabile e lontana – scrive Vassalli – come quell’amore che lui allora stava inseguendo e che non avrebbe mai raggiunto, perchè non esisteva…Una chimera!”